Niente accenni biografici e ancor meno narrativamente aneddotici, solo contestualizzare il tempo di Leopardi tra Romanticismo e il suo nume tutelare Alessandro Manzoni, ed esaminare stilisticamente e, quando possibile, comparativamente i quindici endecasillabi sciolti de L’infinito, uno dei primi idilli (1819) del poeta recanatese.
Lirica assoluta nella sintesi profonda di descrizione e meditazione che, caratteristiche fondamentali della poetica leopardiana, affronta l’infinito spaziale e l’infinito temporale con la facoltà immaginativa di poter vedere il mondo, le cose reali come non sono.
Relatore Tino Gipponi, presidente del Museo della Stampa e Stampa d’Arte a Lodi Andrea Schiavi.
Vi attendiamo sabato 8 aprile ore 17.00 accolti nello stormire dell’aria, dal celebre inizio che conosciamo: Sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe, proseguire con la riflessione dell’impossibilità del poeta di pensare l’infinito (io nel pensier mi fingo) per giungere alla sconsolata clausola e il naufragar m’è dolce in questo mare.